Da Febbraio 2011 parte, in tutto il mondo, la campagna internazionale per l’abolizione dei jeans sabbiati,sostenuta da Abiti Puliti e da Fair. Non è una questione di gusti, ma di diritti umani: ilsandblasting, così si chiama la tecnica usata per la sabbiatura del denim, può provocare la silicosi. Una forma acuta, che colpisce nell’arco di 6-24 mesi di lavoro. E che è, spesso, letale. Un prezzo un po’ alto da pagare, per un paio di pantaloni alla moda.
IL RISCHIO — La tecnica del sandblasting è molto semplice: un compressore ad aria «spara» la sabbia ad alta pressione, e un operaio può manovrarla in maniera molto precisa. Perfetto, per gli effetti speciali richiesti dagli stilisti. Peccato che i laboratori di sabbiatura siano l’ultimo anello della filiera di produzione, in Paesi come Cina, Bangladesh, Messico, Egitto, dove i controlli sono scarsissimi. E così: invece dello 0,5% di silice (il «tetto» previsto dalle direttive comunitarie, negli Usa elevato all’1%), la sabbia utilizzata ne contiene fino all’80%. Invece delle protezioni adeguate, gli operai lavorano a mani nude, senza tute o mascherine.
I CASI — Le prove contro la sabbia, killer silenziosa (con la complicità della moda), ci sono eccome: in Turchia, il sandblasting è stato proibito nel marzo 2009, dopo le denunce di sindacati e associazioni. I lavoratori impiegati nel settore sarebbero tra gli 8 e i 10mila; di questi, 4-5.000 sono affetti da silicosi. I morti accertati da novembre 2010 sono almeno 44, il ministero della Sanità ha deciso di fornire a ogni malato cure gratuite. E i produttori hanno trasferito gli ordini di sabbiatura verso altri Paesi.
L’APPELLO AI MARCHI — È a loro, ovviamente, che mira la campagna. Alcuni hanno già risposto all’appello: Levi-Strauss e Hennes & Mauritz (H&M) hanno annunciato che smetteranno di vendere jeans sabbiati, mentre Gucci ha preparato una strategia per abolire il sandblasting dalle sue fabbriche. Silenzio, invece, da parte di altri big contattati da Abiti Puliti: Armani, Dolce&Gabbana, Diesel, Replay, Cavalli. La «tasca virale» è destinata proprio ai loro pantaloni. Le foto delle azioni di arrembaggio verranno raccolte sulla pagina Facebook di Abiti Puliti, insieme a quelle di chi vorrà partecipare indossando il proprio paio di jeans preferito e con il logo della campagna in bella mostra (sul sitowww.abitipuliti.org, da scaricare e utilizzabile anche per il profilo FB). E ancora, una lettera di pressione e un appello internazionale a imprese e governi. Per dire basta ai jeans che uccidono.
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