Quando il certificato medico è reato
Rilasciare un certificato di proroga di malattia senza visita porta alla condanna tanto del medico quanto del paziente. Così ha sentenziato la Suprema Corte
E' reato rilasciare un certificato medico di proroga di malattia senza aver visitato il paziente. Lo sottolinea la Cassazione nel convalidare una condanna a un medico di base di Milano per falsa certificazione e alla paziente colpevole a sua volta di aver fatto uso della certificazione. Secondo la Suprema Corte non importa se il medico aveva visitato la paziente nell'emettere il primo certificato di malattia. In ogni caso avrebbe dovuto verificare le successive condizioni della paziente non basandosi "semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dall'assistita".
Nel dettaglio, la quinta sezione penale (sentenza 18687) ha convalidato una condanna in base all'art. 480 c.p. nei confronti di Daniele B., il medico di base e della paziente Vittoria G. per aver fatto uso della falsa certificazione. In primo grado medico e paziente erano stati assolti per insufficienza della prova di colpevolezza. Decisione ribaltata dalla Corte d'Appello di Milano nel febbraio 2011. Inutili i ricorsi in Cassazione da parte del professionista e della paziente. In particolare, il medico sosteneva di aver concesso la proroga del certificato di malattia "sulla base di quanto accertato nella visita effettuata 4 giorni prima".
Dal canto suo, la paziente sosteneva di non aver utilizzato una falsa certificazione visto che la malattia era "ancora sussistente". La Suprema Corte ha bocciato entrambi i ricorsi. Per quanto riguarda la responsabilita' di Daniele B., la Cassazione fa notare che "la falsa attestazione attribuita al medico non attiene tanto alle condizioni di salute della paziente, quanto piuttosto al fatto che egli ha emesso il certificato senza effettuare una previa visita e senza alcuna verifica oggettiva delle sue condizioni di salute, non essendo consentito al sanitario effettuare valutazioni o prescrizioni semplicemente sulla base di dichiarazioni effettuate per telefono dai suoi assistiti".
Quanto poi alla asserita "natura colposa" della condotta, la Cassazione rileva che "ci si chiede come il medico potesse non essere consapevole del fatto che egli stava certificando una patologia medica senza averla previamente verificata, nell'immediatezza, attraverso l'esame della paziente". Un ragionamento che viene applicato anche alla paziente "responsabile -dice piazza Cavour- di aver fatto uso dell'atto falso".
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